Il “doppio ciclo causale” nell’ambito della responsabilità sanitaria alla luce della Cass. Civ., Sez. III, Sent., 11.11.2019, n. 28991

Con la pubblicazione l’11 novembre 2019 di ben dieci sentenze in tema di responsabilità sanitaria – già note come il “Decalogo di San Martino” –, la Corte di Cassazione ha tracciato nuovamente i principi fondamentali sul tema.

La sentenza n. 28991/2019, in commento, si inserisce proprio su questo solco e pone l’attenzione sulla delicata questione del nesso causale e della ripartizione dell’onere della prova tra l’attore (il paziente asseritamente danneggiato), il personale medico o paramedico e la struttura sanitaria nell’ambito di un rapporto contrattuale.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, la CTU espletata in appello aveva stabilito che: i. la causa del decesso non era attribuibile alla pancreatite non emorragica ma genericamente ad uno stato di shock ed insufficienza multi organo; ii. una TAC all’addome (nella specie, non disposta), ancorché opportuna, non avrebbe fatto emergere elementi decisivi al fine di valutare la realizzazione di un terzo intervento chirurgico; iii. l’esecuzione di tale intervento, con chance di sopravvivenza poco superiori al 40%, sarebbe stata “controbilanciata” da un elevato rischio di mortalità perioperatoria; iv. la condotta attendista dei sanitari era da ritenersi altrettanto valida in relazione ai rischi di cui al precedente punto; v. ancorché si ritenesse presente un’ipotetica condotta colposa del personale sanitario, era in ogni caso incerta la correlazione causale tra tale condotta ed il decesso.

Sulla base di queste premesse fattuali, il percorso logico-giuridico seguito dalla Suprema Corte – muovendosi nell’implicita distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato – si fonda sulla circostanza che nell’ambito del “facere professionale” (i.e. contratto d’opera professionale) la causalità materiale (i.e. la condotta del sanitario) confluisce “nella dimensione del necessario accertamento della riconducibilità dell’evento alla condotta secondo le regole generali”. Infatti, dovendosi distinguere tra interesse strumentale (rispetto delle leges artis oggetto di obbligazione) ed interesse primario (diritto alla salute), emerge che la prestazione oggetto dell’obbligazione non può essere considerata la guarigione dalla malattia, ma il perseguimento delle leges artis a tutela dell’interesse del creditore (paziente), ancorché la guarigione dalla malattia – anche se non dedotta in obbligazione – costituisce un motivo che non può restare estrinseco e che è condizionata dalla prestazione professionale.

Il ragionamento prosegue sulla considerazione che la condotta inadempiente del sanitario non necessariamente produce l’evento lesivo, ben potendo verificarsi un aggravamento o l’insorgenza di nuove patologie indipendentemente dalla colpa professionale. Dunque, il paziente-creditore deve provare l’esistenza del nesso di causalità fra l’inadempimento ed il pregiudizio alla salute.

Ne consegue che “Dato che il danno evento nelle obbligazioni di diligenza professionale riguarda, come si è detto, non l’interesse corrispondente alla prestazione ma l’interesse presupposto, la causalità materiale non è praticamente assorbita dall’inadempimento. Quest’ultimo coincide con la lesione dell’interesse strumentale, ma non significa necessariamente lesione dell’interesse presupposto, e dunque allegare l’inadempimento non significa allegare anche il danno evento il quale, per riguardare un interesse ulteriore rispetto a quello perseguito dalla prestazione, non è necessariamente collegabile al mancato rispetto delle leges artis ma potrebbe essere riconducibile ad una causa diversa dall’inadempimento. La violazione delle regole della diligenza professionale non ha dunque un’intrinseca attitudine causale alla produzione del danno evento”.

In buona sostanza, benché sussiste un’inadempienza, è necessario comunque procedere alla valutazione del nesso eziologico fra il danno evento (lesione dell’interesse primario) e la condotta materiale qualificabile come inadempimento, con l’evidente conseguenza che il paziente-creditore ha l’onere: i. di allegare l’evento danno alla salute e le conseguenze pregiudizievoli derivate (causalità giuridica) e ii. di provare – anche mediante presunzioni – il nesso causale tra la lesione della salute (l’evento) e la condotta del sanitario nella sua materialità (causalità materiale), impregiudicata in ogni caso la natura di inadempienza della condotta che il paziente deve solo allegare.

Pertanto, la causalità materiale diventa elemento costitutivo nelle obbligazioni di diligenza professionale.

Se il paziente-creditore adempie a ciò, spetterà al medico (o al personale sanitario in generale) provare l’adempimento o che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione a lui non imputabile.

Questo il principio di diritto sancito “Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione”, che il Collegio espressamente afferma essere rilevante sono nel caso in cui la causa sia rimasta ignota, cioè quando “la mancanza, in seno alle istanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento, anche in via presuntiva, della sussistenza o insussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione rispettivamente dei fatti costitutivi o di quelli modificativi o estintivi”.

Avv. Francesca Colombaroni

Avv. Gabriele Aprile

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