La colpa medica e l’applicazione della Legge Gelli-Bianco

Trib. Parma, sent. 18 dicembre 2018 (dep. 4 marzo 2019), n. 1584, Giud. Agostini

In tema di colpa medica e causa di esclusione della punibilità ex art. 590-sexies c.p. – così come introdotto dalla L. n. 24/2017 (c.d. Legge Gelli-Bianco) – la sentenza del Tribunale di Parma in composizione monocratica in commento rappresenta un emblema per gli operatori del diritto e non solo.

La vicenda riguarda una donna di 28 anni che, a seguito di uno svenimento, veniva trasportata d’urgenza presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Maggiore di Parma e sottoposta – in codice giallo – ad una TAC all’encefalo e ad una visita neurologica a quasi 5 ore dallo svenimento. Tuttavia, gli esami strumentali e le visite specialistiche – compresa quella dell’endocrinologo che seguiva la donna per problemi di tiroide – non venivano ricondotti ai sintomi di un’ischemia, seppur inizialmente sospettata.

L’ischemia veniva diagnosticata solo da una successiva TAC, eseguita la sera, che non scongiurò alla donna la necessità di essere indotta al coma e di essere ricoverata nel reparto di rianimazione, dal quale fu poi trasferita in neurochirurgia e successivamente in un reparto per le cure riabilitative a causa delle severe menomazioni subite.

La particolarità di questa vicenda si fonda sulla circostanza che il Tribunale di Parma inquadra la fattispecie nell’alveo dell’art. 590-sexies, comma 2, c.p. in quanto la struttura sanitaria aveva adottato una “linea guida”, denominata “Percorso trombolisi E.V.”, da utilizzare secondo uno schema ben preciso allo scopo di giungere alla somministrazione del farmaco trombolitico entro un lasso di tempo relativamente breve dalla comparsa dei primi sintomi.

Da questa importante premessa, il percorso logico-giuridico seguito dal Giudice fa un passo ulteriore ritenendo che “per verificare la fondatezza di un addebito colposo occorre porsi nella prospettiva del soggetto nel momento in cui non tenne la condotta doverosa imposta dalla regola cautelare, alla luce degli elementi di conoscenza che aveva a disposizione in quel momento per orientare il suo comportamento”.

A tal fine, dall’analisi delle prove orali, delle prove documentali e della consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero, da un’ulteriore consulenza medico-legale e dall’esame e dalle dichiarazioni spontanee fornite dall’imputato veniva ravvisato il nesso eziologico tra la condotta dell’imputato e il suddetto evento, secondo il canone dell’elevato grado di probabilità logica o credibilità razionale. Infatti, operando il giudizio controfattuale – e cioè ipotizzando cosa sarebbe accaduto se il sanitario avesse agito in modo corretto – emergeva, ad avviso del Tribunale, che la condotta dell’imputato era omissiva, in quanto con elevate probabilità, prossime alla certezza, il suo intervento tempestivo avrebbe determinato l’avvio della trombolisi in tempi più rapidi con consequenziale riduzione delle menomazioni che colpivano la donna.

Infatti, posto che l’erronea valutazione del sintomo e la conseguente omessa o ritardata diagnosi è da attribuire all’imperizia per inosservanza delle leges artis e non anche alla negligenza, il Giudice ha ritenuto che il medico “intuì che la (X) poteva essere stata colpita da ictus e nel perseguire una possibile diagnosi differenziale individuò correttamente le linee guida/buone prassi da seguire, ma peccò nell’esecuzione di quanto esse prescrivevano”.

Ricostruito ciò, la sentenza risponde ad un quesito: la colpa dell’imputato può definirsi lieve e, quindi, si applica l’art. 3 D.L. n. 158/2012 o l’art. 590-sexies c.p.?

Ad avviso del giudicante, la colpa può definirsi lieve poiché il medico di P.S. prestò la propria assistenza medico-sanitaria:

  1. in un contesto di emergenza (cfr. codice giallo assegnato alla donna);
  2. alla donna danneggiata, unitamente ad altri ventisei malati;
  3. in presenza di diversi sintomi tra loro contrastanti;
  4. ancorché non fosse specializzato in neurologia, tant’è vero che chiese un consulto ad un neurologo.

E considerato che il sanitario ha rispettato una linea guida – ancorché non accreditata – che si traduceva nella codificazione di una buona pratica clinico assistenziale, il Tribunale di Parma ha ritenuto che si potesse applicare la causa di non punibilità di cui al comma 2 dell’art. 590-sexies c.p.

E ciò sulla base di questo importante passaggio motivazionale:

Infine, va chiarito che nel caso di specie, proprio perché la regola cautelare violata appartiene al campo della perizia, l’articolo 590-secies del codice penale (introdotto dall’articolo 6 comma 1° della L. 8 marzo 2014, n. 24) e la previsione di cui all’articolo 3 del D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito con modificazioni dalla L. 8 novembre 2012, n. 189) sono del tutto equivalenti per ciò che attiene alla individuazione della previsione più favorevole, ai sensi dell’articolo 2 comma 4° del codice penale sulla successione delle leggi penali nel tempo. Infatti, l’articolo 3, comma 1°, del decreto Balduzzi prevedeva un coordinamento con l’accertamento del giudice penale, nella cornice dell’articolo 2043 del codice civile, ribadito dall’articolo 7, comma 3°, della legge Gelli-Bianco. Di conseguenza la responsabilità civile anche per colpa lieve resta ferma a prescindere dallo strumento tecnico con il quale il legislatore regoli la sottrazione del comportamento colpevole da imperizia lieve all’intervento del giudice penale. Ne consegue che va privilegiata la norma attualmente vigente, non essendovi motivo perché abbia luogo l’ultrattività del citato articolo 3 del D.L. 158 del 2012”.

Avv. Francesca Colombaroni

Avv. Gabriele Aprile

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