Una nuova evoluzione nell’area del risarcimento danni: la Cassazione innova radicalmente la responsabilità dei danni causati da fauna selvatica – Cass. sent. n. 7969 del 20.04.2020

Nel caso in esame un automobilista percorreva una strada pubblica e investiva un cinghiale, per cui conveniva in giudizio la Regione Abruzzo, chiedendo il risarcimento dei danni subiti dalla propria autovettura. La domanda veniva accolta in primo grado ed in Appello. La Regione, dunque, ricorreva per Cassazione e il ricorso veniva rigettato.

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento ripercorre in 30 pagine le argomentazioni dell’orientamento precedente, ponendo in evidenza il nuovo orientamento riguardo al criterio di imputazione della responsabilità giuridica e all’individuazione del soggetto pubblico o privato tenuto a rispondere dei danni.

Secondo la giurisprudenza, fino ad ora costante, infatti, per il danno cagionato da animali selvatici trovava applicazione il criterio della responsabilità extracontrattuale di cui all’articolo 2043 c.c., (cfr. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 18955 del 31.7.2017, Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 22525 del 24.9. 2018) e mai la responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. Tale indirizzo traeva fondamento dall’assunto per cui la presunzione di cui all’art. 2052 c.c. risultava inapplicabile alla selvaggina, il cui stato di libertà era incompatibile con qualsiasi onere di custodia da parte della pubblica amministrazione. Soluzione, quest’ultima, che ha incontrato persino l’avallo della Corte Costituzionale (sentenza 4 gennaio 2001, n. 4, in Foro it. 2001, I, 377), la quale ha ritenuto che l’art. 2052 c.c. fosse applicabile solo in presenza di danni provocati da animali domestici, mentre per quelli cagionati da animali selvatici fosse applicabile solo l’art. 2043 c.c., ritenendo che il danno da fauna selvatica rappresentasse un’eclatante eccezione al principio ubi commoda, ibi incommoda, giustificata dal fatto che lo Stato non diventerebbe proprietario degli animali selvatici per utilizzarli o usufruirne in un qualunque modo ma unicamente per proteggerli e tutelarli, nell’interesse comune ed a spese della collettività.

La Corte, mutando orientamento con la sentenza in esame, ha enunciato il seguente principio di diritto: “Ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità“.

La Corte, dunque, con la pronuncia in commento, ha evidenziato in primo luogo come l’art. 2052 c.c. non contenga alcuna espressa limitazione agli animali domestici; in secondo luogo, la suddetta norma, contrariamente all’art. 2051 c.c., non presuppone la sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell’animale da parte dell’uomo, sicché, diversamente dal 2051 c.c., il criterio di imputazione della responsabilità è fondato non sulla “custodia” ma sulla stessa proprietà dell’animale. Ne consegue che il diritto di proprietà sancito, in relazione ad alcune specie di animali selvatici dalla L. n. 157 del 1992 in capo allo Stato è idoneo a determinare l’applicabilità del regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 c.c.

La Corte ritiene che lo stesso percorso logico debba essere applicato anche per la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici rientranti nelle specie protette, di proprietà pubblica.

Orbene, nell’individuazione della responsabilità si applica il criterio di imputazione di cui all’articolo 2052 c.c., in quanto la responsabilità ex art. 2052 c.c.  prescinde dall’effettiva custodia dell’animale da parte dell’uomo.

Spetta al danneggiato dimostrare che il danno sia stato causato dalla condotta dell’animale selvatico, attraverso il nesso causale tra la condotta dell’animale stesso e l’evento dannoso subito, nonché l’appartenenza dell’animale ad una specie oggetto di tutela (si deve trattare di un animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato); mentre spetta all’Ente/Regione la prova liberatoria del “caso fortuito”, ossia dimostrare che l’evento dannoso non sarebbe stato evitabile neanche ponendo in essere tutte le misure di necessarie  per la gestione e il controllo della fauna selvatica.

Infine, altra questione risolta con la sentenza in commento riguarda il soggetto responsabile: infatti, la responsabilità per i danni provocati alla circolazione stradale da animali selvatici deve essere imputata solo ed esclusivamente alla Regione, quale ente titolare della competenza a disciplinare, sul piano normativo e amministrativo la della fauna selvatica, anche nel caso in cui abbia delegato i suoi poteri alle Province (la delega infatti non fa venire meno la titolarità dei suddetti poteri e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive dell’ente regionale).

Avv. Matteo Giovine

Avv. Enrico Perrella

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