La funzione perequativa dell’assegno divorzile (Cass., Ord. 07.10.2019, n. 24934): il consolidamento post Cass. n. 11504/2017 e SS.UU. n. 18287/2018

La funzione assistenziale dell’assegno può anche concorrere con (o essere assorbita dalla) funzione compensativa – perequativa, a determinate condizioni, entrambi costituenti espressione della solidarietà post – coniugale valorizzata dalle Sezioni Unite.” (Cass. Civ. sez. I, ord. 07.10.19, n. 24934 – cassa con rinvio App. Milano n. 2892/15)

Si conferma la nuova finalità del contributo post – matrimoniale in favore dell’ex coniuge economicamente più debole: riequilibrare il reddito sulla base della “perdita di chance”, per essersi una delle parti dedicata alla vita familiare a discapito di quella professionale.
Un ex coniuge agiva avverso le statuizioni della Corte territoriale che imponevano lui il pagamento dell’assegno divorzile in favore dell’altro ex coniuge, senza aver tenuto conto della (sussistente) adeguatezza dei redditi di questi. In tal modo, il Giudice di merito ha erroneamente seguito il precedente orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’assegno divorzile dovrebbe altresì consentire, all’ex coniuge beneficiario, la conservazione del tenore di vita matrimoniale (la sentenza di Corte d’Appello è del 03 luglio 2015, prima della Cass. 10 maggio 2017, n.11504).
La Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, poiché la ratio decidendi è in netto contrasto con i principi regolatori della materia, per come riformulati dalla sentenza n. 11504/17 e definitivamente confermati, oltre che integrati, dalla n. 18287/18 SSUU.
La legge stabilisce l’erogazione dell’assegno divorzile in favore del coniuge economicamente più debole, quando questi “non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive” (art. 5 l. 898/70, comma sesto), da quantificarsi mediante la valutazione di una serie di elementi di carattere patrimoniale e non, ivi indicati, fra i quali il “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare” (art. 5 cit.).
La funzione principale dell’assegno è ora senz’altro quella assistenziale intesa nei termini di garantire una “vita dignitosa” e non già il mantenimento del precedente tenore di vita matrimoniale.
Con l’intervento delle Sezioni Unite citate è stata evidenziata un’ulteriore funzione, direttamente discendente dal principio costituzionale di solidarietà (artt. 2 e 29), e che può concorrere con la principale: la funzione perequativa.
Il parametro del “contributo personale”, di cui al citato comma sesto, è stato interpretato alla luce del mutato contesto socio – culturale, ove la donna (rectius il coniuge economicamente più debole) non rinuncia più tout court alla professione per dedicarsi interamente alla famiglia, ma spesso, per far ciò, comprime le proprie possibilità di realizzazione professionale. Va però precisato che la stessa giurisprudenza è unanime nel ritenere che tali scelte si considerino sempre come prese di comune accordo fra i coniugi, poiché la decisione di una delle parti di dedicarsi alla famiglia giova, altresì, anche all’altra parte.
La giurisprudenza ha riconosciuto rilevanza al sacrificio affrontato e, seppur specificando che esso deve imprescindibilmente essere rapportato al contributo dato alla realizzazione della vita familiare, ha enucleato la finalità della funzione perequativa: l’assegno, infatti, deve oggi consentire “il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate1.
Quindi, non è più sufficiente la semplice comparazione reddituale e la rilevazione di uno squilibrio patrimoniale fra le parti per la quantificazione dell’assegno divorzile. Occorre tener conto delle possibilità di realizzazione professionale sacrificate dal coniuge economicamente più debole e rapportarle al contributo in concreto apportato alla vita familiare, oltre che alla formazione del patrimonio di famiglia e personale dei coniugi.
Il contributo economico dell’assegno divorzile, pertanto, assume oggi anche una veste compensativa, cercando di riequilibrare, per quel che sia possibile, la condizione economica sulla quale avrebbe ragionevolmente potuto fare affidamento l’ex coniuge beneficiario, qualora non avesse scelto di dedicarsi prevalentemente alle proprie relazioni familiari.
Una applicazione di merito conforme al nuovo dato interpretativo è Tribunale di Roma 11 giugno 20192.

Dott.ssa Anna Pappalardo

Avv. Enrico Perrella

[1] SSUU 18287/18, in Giur. It.2018,8/9, 1843, rich. da Cass. 08.02.19 n.3869, in Quotidiano Giuridico, 2019.

[2] in Quotidiano Giuridico, 2019, con nota di SCALERA. Il Collegio ha dato piena attuazione ai principi espressi dalle Sezioni Unite, allorquando ha confermato la misura dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge che, per dedicarsi esclusivamente alla famiglia, aveva lasciato il lavoro tredici anni prima. Il Tribunale ha tenuto conto dell’età della parte, della durata del matrimonio, degli studi compiuti e delle possibilità non sfruttate, oltre che delle prospettive professionali attuali rapportate a quelle che avrebbe potuto avere, a pari età, se non avesse mai smesso di lavorare. Inoltre, si è considerato anche il livello (nel caso di specie, elevato) professionale che l’altro ex coniuge aveva raggiunto, agevolato dal sacrificio dell’altro.

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