Rapporto tra la mala gestio dell’amministratore e la BJR. Nota a Decreto Trib. Roma, 23.02.2021, rel. Dott. Romano (inedita)

Con ricorso ex art. 2409 c.c. Tizia, socia di minoranza di una S.r.l., denunciava al Tribunale di Roma numerose irregolarità gestorie da parte dell’Amministratore Unico della società, chiedendo altresì la revoca di quest’ultimo e la nomina di un Amministratore Giudiziale.

Si costituivano in giudizio il curatore speciale nominato dal Tribunale ex art. 78 c.p.c. nonché l’Amministratore unico della Società, il quale contestava il carattere residuale dell’azione ex art. 2409 c.c., oltre all’assenza di irregolarità da parte dell’organo gestorio.

Il Tribunale di Roma, ordinando l’ispezione giudiziale ritenendo sussistente le irregolarità gestionali, ha accertato l’infondatezza del rilievo avversario, argomentando che “la denunzia al tribunale non possa essere qualificata, in termini rigidi, come rimedio di «ultima istanza» […] Al contrario, in via generale, l’autonomia del procedimento di cui all’art. 2409 c.c. rispetto agli altri strumenti di tutela, endosocietari o giudiziari, previsti dalla legge contro le irregolarità compiute dall’organo gestorio – autonomia che va in questa sede ribadita – discende direttamente dalla sua stessa natura volta a garantire l’interesse generale alla corretta amministrazione della società (così, già, Corte app. Milano, 18 aprile 1989)”.

Il provvedimento, come da giurisprudenza maggioritaria e pressoché costante, ha ribadito che “i vizi di cui possono essere affette le delibere degli organi sociali non sono sempre idonei a configurare gravi irregolarità rilevanti ai fini dell’art. 2409 c.c., ma possono coincidere con tale fattispecie, qualora suscettibili di influire sull’esito della gestione […]. Ebbene, proprio alla luce della diversa «natura» e della diversa finalità dei rimedi, il tema del rapporto tra denuncia ex art. 2409 c.c. e l’impugnazione delle delibere societarie va risolto in termini di piena «autonomia» del primo istituto rispetto al secondo (e, dunque, di «concorrenza» e non di reciproca esclusione)”.

Inoltre, il Tribunale ha delineato i presupposti per l’accoglimento della denuncia ex art. 2409 c.c., quali: “a) l’esistenza di fondati sospetti di gravi irregolarità nella gestione derivanti dalla violazione, da parte degli amministratori, dei doveri su di loro gravanti; b) il possibile danno alla società o ad una o più società controllate derivante dalle irregolarità nella gestione, con conseguente irrilevanza, pertanto, ai fini della denuncia in questione, dell’eventuale danno arrecato a soci o terzi”.

Con particolare riferimento al primo dei suddetti elementi, il decreto ha richiamato il carattere atipico delle irregolarità gestorie e ne ha descritto gli ulteriori requisiti, quali:

  1. la gravità, dovendo trattarsi di condotte che postulano fatti e deficienze non altrimenti eliminabili e che integrano violazione di norme civili, penali, amministrative e tributarie, ovvero dello statuto e delle regole generali di gestione diligente, esercitata nell’interesse sociale e in assenza di conflitti di interesse;
  2. l’attualità, tale per cui gli illeciti denunciati non dovranno aver esaurito ogni effetto ma dovranno essere in grado di determinare ulteriori possibili effetti nocivi;
  3. l’idoneità alla causazione di un danno alla società, essendo all’uopo sufficiente il “mero pericolo di danno futuro” al patrimonio sociale e, dunque, irrilevante un potenziale danno ai singoli soci, ai creditori sociali e ai terzi.

Il provvedimento in commento offre quindi un prezioso spunto per riflettere sul rapporto sussistente tra la c.d. business judgement rule e l’azione ex art. 2409 c.c.

Il Tribunale ha difatti rammentato l’insindacabilità nel merito delle scelte gestorie degli amministratori (la c.d. “business judgement rule”, appunto), chiarendo come tale regola sia mitigata da due sole eccezioni, ovvero “in primo luogo, le scelte palesemente irragionevoli o negligenti, atteso che, come si è detto, il controllo dell’Autorità Giudiziaria è di legalità e di regolarità della gestione, intesa quale attività materiale e giuridica diretta alla realizzazione dell’oggetto sociale in modo conveniente, cioè tale che la quantità delle risorse complessivamente consumate nella produzione dei beni e dei servizi sia inferiore o corrispondente ai ricavi. In secondo luogo, il Tribunale può sindacare anche il merito delle scelte economiche compiute dagli amministratori in conflitto di interessi, e segnatamente quelle in pregiudizio della società da loro amministrata, ma conformi all’interesse del socio di maggioranza, a condizione che ricorra l’ulteriore presupposto della potenzialità del danno per la società stessa”.

Il decreto ha quindi concluso che “In altre parole, il limite derivante dalla cd. business judgement rule non opera laddove si tratti di sindacare non tanto l’osservanza del dovere di diligenza (cd. duty of care) quanto dell’obbligo di fedeltà (cd. duty of loyalty), comunque compreso tra quelli richiamati dall’art. 2409 comma 1° c.c. e sotteso ai precetti normativi in tema di conflitto di interessi”.

Anche un recentissimo decreto del Tribunale di Bari (23 marzo 2021, in www.ilcaso.it) – con cui si è ordinato all’ispettore giudiziario già nominato di integrare la propria relazione ispettiva, procedendo all’esame dell’amministrazione della società nonché accertando l’eventuale esistenza di irregolarità contabili o amministrative – si è soffermato sugli elementi fondanti l’azione di denuncia delle irregolarità gestorie, chiarendo che “L’art. 2409 c.c. delinea un procedimento non contenzioso e di volontaria giurisdizione, a tutela di un interesse generale all’ordinato svolgimento dell’attività economica, essendo finalizzato a ripristinare la regolare amministrazione della società e, solo in via indiretta, tutela l’interesse dei soci e dei creditori. Il procedimento di denunzia al tribunale non è sottoposto a preclusioni assertive o probatorie né ad una rigorosa corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Il presupposto dell’applicabilità dell’art. 2409 c.c. risiede nel fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto, anche senza dolo o colpa, gravi irregolarità nella gestione, che possano arrecare danno alla società o anche a una o più controllate. Ai fini dell’instaurazione del procedimento, chi ricorre deve, pertanto, manifestare un fondato sospetto, fornendo indizi obiettivi tali da rendere verosimile la denuncia, senza, tuttavia, essere tenuto a provare pienamente l’irregolarità denunciata nella sua materialità, la quale deve, invece, essere accertata attraverso il controllo giudiziario. La legge prevede, poi, espressamente, che il giudice – a fronte di una grave irregolarità – deve valutare se essa possa arrecare danno alla società o a una o più controllate. Tale elemento […] rende rilevante l’irregolarità purché essa possa determinare un danno anche solo potenziale alla società, e non anche un pregiudizio effettivo. Le gravi irregolarità nella gestione devono essere attuali al momento in cui si richiede l’intervento del Tribunale, non essendo consentita l’adozione di provvedimenti da parte del Tribunale se abbiano già esaurito tutti i loro effetti. Possono consistere nel compimento o nell’omissione di atti che comportino una violazione delle norme di legge o dello statuto o delle regole di prudenza o avvedutezza o di corretta amministrazione e conservazione del patrimoniale sociale, capaci di provocare un danno al patrimoniale sociale e di conseguenza agli interessi dei soci e dei creditori sociali o un grave turbamento dell’attività sociale. Il comportamento denunciato deve, inoltre, essere valutato nell’ambito dell’intera attività della società, essendo priva di rilievo l’eventuale illegittimità di singoli atti, impugnabili anche in via autonoma. L’omesso esercizio dei diritti sociali nella controllata può giustificare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2409 c.c.

Sempre in relazione alla portata della business judgment rule, si segnala un altro interessante provvedimento reso dal Tribunale di Roma (8 aprile 2020, relatore dott. Romano), ove si afferma che “La regola della business judgment rule esclude che si possa far discendere l’eventuale responsabilità degli amministratori (esclusivamente) dall’insuccesso economico delle iniziative imprenditoriali da questi intraprese […] Tuttavia, il principio della insindacabilità delle scelte di gestione non è assoluto, avendo la giurisprudenza elaborato due ordini di limiti alla sua operatività. La scelta di gestione è insindacabile, in primo luogo, solo se essa è stata legittimamente compiuta (sindacato sul modo in cui la scelta è stata assunta) e, sotto altro aspetto, solo se non è irrazionale (sindacato sulle ragioni per cui la scelta compiuta è stata preferita ad altre). Con riferimento al primo profilo, è stato correttamente affermato che, se è vero che non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se presentano profili di alea economica superiori alla norma, resta invece valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente – se necessario, con adeguata istruttoria – i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite, altrimenti prevenibili (in questi esatti termini, Cass., 12 agosto 2009, n. 18231; Cass., 24 agosto 2004, n. 16707; Cass., 27 dicembre 2013, n. 28669). Si tratta, in concreto, di ripercorrere il procedimento decisionale che l’amministratore ha seguito per il compimento della scelta di gestione verificando, in particolare, se l’amministratore abbia eventualmente omesso le cautele, le verifiche e le informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, avendo riguardo alle circostanze del caso concreto e se dalle premesse siano state ricavate conclusioni che siano con esse in rapporto di coerenza e di congruità logica. Sotto il secondo profilo tratteggiato (“razionalità” della scelta ovvero, per usare la terminologia di Cass., 22 giugno 2017, n. 15470, “ragionevolezza” della scelta medesima, ancorché sia lecito dubitare che le due espressioni utilizzate dalla giurisprudenza riflettano, sotto il profilo semantico, effettive differenze), non basta che l’amministratore abbia assunto le necessarie informazioni ed abbia eseguito (attraverso l’uso di risorse interne o di consulenze esterne) tutte le verifiche del caso, essendo pur sempre necessario che le informazioni e le verifiche così assunte abbiano indotto l’amministratore ad una decisione razionalmente inerente ad esse (Trib. Roma, 28 settembre 2015)

E ancora, secondo una recente sentenza pronunciata dal Tribunale di Torino (29 settembre 2020, n. 3399, in www.giurisprudenzadelleimprese.it) “la BJR opera esclusivamente quando le decisioni operative sono assunte secondo i principi di corretta gestione societaria e, esemplificando, quando gli atti di gestione (i) sono conformi alla legge e allo statuto sociale, (ii) non sono contaminati da situazioni di conflitto di interesse dei gestori, (iii) sono assunti all’esito di un procedimento di assunzione di informazioni propedeutiche alla decisione gestoria adeguato all’incidenza sul patrimonio dell’impresa e (iv) sono razionalmente coerenti con le informazioni e le aspettative di risultato emerse dal procedimento istruttorio”. Nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto mancanti tali condizioni, rilevando invece come l’Amministratore e liquidatore della Società avesse “operato scelte irrazionali e non comprensibili in un’ottica di perseguimento dell’interesse della società che amministrava ma che si spiegano invece in un’ottica di spogliazione di […] a vantaggio di altre aziende, talvolta anche in qualche modo collegate per assetti proprietari o amministrativi”).

Il tema della business judgement rule è stato poi affrontato anche con riferimento ai rapporti societari infragruppo.

In particolare, recente giurisprudenza di merito ha statuito che “la BJR – che, come è noto, non consente di valutare nel merito gli atti di gestione compiuti dall’amministratore – opera esclusivamente quando le decisioni operative sono assunte secondo i principi di corretta gestione societaria e, esemplificando, quando gli atti di gestione (i) sono conformi alla legge e allo statuto sociale, (ii) non sono contaminati da situazioni di conflitto di interesse dei gestori, (iii) sono assunti all’esito di un procedimento di assunzione di informazioni propedeutiche alla decisione gestoria adeguato all’incidenza sul patrimonio dell’impresa e (iv) sono razionalmente coerenti con le informazioni e le aspettative di risultato emerse dal procedimento istruttorio. […]  il Collegio richiama la giurisprudenza della Suprema Corte che ha da tempo rilevato che – a fronte di comportamenti dell’amministratore che ledono il patrimonio dell’ente e perciò appaiono contrari al suo obbligo di perseguire una corretta gestione societaria – gli eventuali benefici compensativi non possono ritenersi sussistenti solo perché la società fa parte di un gruppo, dovendo l’amministratore “farsi carico di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta” (Così Cass., Sez. I, 24/08/2004, n. 16707), e fermo restando che non si possono considerare compensabili nel senso indicato dalla norma i pregiudizi che minano l’esistenza stessa della società del gruppo e/o che comportano il venir meno della liquidità necessaria per la sua sopravvivenza. (Cfr. ancora, Cass. 2004 cit. e, fra le altre, Cass. civ. Sez. I, 11/12/2006, n. 26325; Cass. civ. Sez. I Sent., 07/12/2011, n. 26362; Cass. civ. Sez. I Sent., 13/02/2015, n. 2952; Cass. pen. Sez. V, 11-05-2017, n. 45288)” (Tribunale di Torino, 26 ottobre 2020, n. 3746, in www.giurisprudenzadelleimprese.it).

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